Teen e social media: “è complicato”, ma forse per gli archivisti un po’ meno

Da anni, Danah Boyd studia i giovani in rete. Le sole tracce che lasciano on line, spiega a The Signal, non sempre bastano per capire le loro storie. Ma le istituzioni culturali, sostiene, dispongono dei saperi ideali per non incappare in simili errori

Volete sapere come gli adolescenti usano Internet? Basta chiederglielo. Facile, almeno all’apparenza, ma in fondo è proprio questo il principio che ispira il lavoro di Danah Boyd, voce autorevole di primissimo piano per ciò attiene alla comprensione del rapporto tra i teenager e le tecnologie. Rapporto spesso e volentieri mistificato o comunque distorto dai media e altri esperti, proprio per la mancanza di quel contatto coi giovani che secondo la Boyd rappresenta invece il presupposto essenziale per entrare in sintonia con le loro ansie e ambizioni. Da sempre interessata a queste tematiche, Danah Boyd è stata intervistata di recente dal blog The Signal, nell’ambito della serie di approfondimenti sul cosiddetto folk digitale. Spiegando il senso del proprio lavoro, non ha mancato di sottolineare l’importanza di conservare fonti e contenuti lasciati come vere e proprie orme del passaggio degli adolescenti on line. Ma ancor più di contestualizzarle, per poter rilegger domani la storia di una generazione inquieta ma, a ben vedere, non così diversa da quelle che l’hanno preceduta.

Ricapitolando e procedendo con ordine, Danah Boyd lavora come ricercatrice per Microsoft e prestigiosi atenei. Per la sua ultima fatica, “It’s Complicated: The Social Lives of Networked Teens”, ha passato ben 8 anni ad osservare i comportamenti dei teenager on, ma anche off line. Una intensa attività di analisi, che l’ha portata per prima cosa a consolidare un’ipotesi già maturata in passato. “La maggioranza degli adolescenti – dichiara a The Signal – è ok, o per lo meno non si trova a vivere esperienze particolarmente diverse da quelle vissute in passato dai fratelli maggiori”. Tutt’altro discorso invece, per chi è nato e cresciuto in situazioni più problematiche. Ragazze e ragazzi che paradossalmente sarebbero molto più visibili proprio grazie a Internet, ma sui quali staziona un preoccupante cono d’ombra.

Chi è a rischio on line spesso lo era e continua a esserlo anche e soprattutto off line – argomenta – perché magari proviene da contesti difficili e ha subito già abusi a casa (…) Noi però siamo talmente ossessionati con la protezione dei nostri figli, da avere dimenticato che ci sono ragazzi che non hanno genitori o parenti in grado di sostenerli (…) Nelle nostre comunità, in passato, si parlava di occhi sulla strada, non come meccanismo di sorveglianza, bensì come atto di cura nei confronti dei più deboli. Ne avremmo bisogno tantissimo anche adesso, anche on line.

Venendo al rapporto degli adolescenti con la rete, e in particolare coi social media, la Boyd respinge con forza l’idea che questi siano all’origine di devianze o altri tipi di problemi comportamentali.

Quando le persone vedono cose che accadono on line e gli appaiono poco familiari, spesso pensano che sia Internet a generarle. Se si imbattono in comportamenti che non apprezzano, come il bullismo o il razzismo, pensano che Internet abbia contribuito a peggiorarli. Dalle mie ricerche invece, appare evidente che Internet sia semplicemente uno specchio che riflette la nostra società: buona, cattiva o terrificante che sia. Siccome però questo specchio è pubblico e visibile da milioni di individui, e visto che proietta immagini travalicando i confini geografici e culturali, è innegabile che le sue rifrazioni causino effetti di straniamento maggiori.

Alla base di queste e altre considerazioni, ci sono un’autorevolezza e un rispetto da parte dei più giovani che la Boyd si è guadagnata nel tempo. Per farlo – spiega – ha dovuto prima vincere quel muro di diffidenza inevitabilmente parato di fronte a chi, specie se adulto, prova a entrare in contatto con loro, ancor più se ciò avviene direttamente on line. “I ragazzi penserebbero che sono una pazza se provassi ad approcciarli sui loro profili social. Per questo col tempo ho capito che per comprendere il senso delle loro vite digitali sia fondamentale costruire delle reti di fiducia. E per riuscire a fare questo bisogna prima conoscerli e osservarli di persona”.

Cuore centrale delle sue indagini restano comunque i comportamenti on line. Sui social media, la sua missione è di imbattersi in migliaia di tracce, e da quelle ricostruire storie individuali e generazionali. Ma come fare a preservare queste stracce, effimere per definizione, per fare in modo che anche in futuro si possa provare a interpretare il mood adolescenziale della nostra epoca?

Onestamente –ammette la Boyd – guardando solo alle tracce si rischierà di perdere il senso dell’intera storia. Sono 10 anni che studio questi aspetti: dall’inizio ad oggi molto è cambiato, e tra i cambiamenti più importanti c’è senza dubbio il rapporto dei giovani con la privacy. Quando ho cominciato, i ragazzi americani erano molto a loro agio e trasparenti on line. Ora invece, sebbene io possa leggere cosa scrivono su Twitter o Instagram, non sempre ne colgo il significato. I ragazzi hanno cominciato a parlare in codice. In un mondo in cui non è possibile limitare l’accesso ai contenuti, loro pongono barriere di accesso ai significati. Per interpretare alcuni aspetti basta quindi leggere le tracce on line. Per altri, oggi come domani, occorrerà andare oltre le tracce.

E andare oltre le tracce vuol dire ricostruire i contesti. Un tipico lavoro da archivisti – sostiene la Boyd – perché cercare di risalire dalle parti all’insieme ha sempre costituito uno dei loro compiti più impegnativi e allo stesso tempo affascinanti, e continuerà ad esserlo anche in futuro. “La mia speranza – spiega – è che prendere coscienza di ciò ci spinga anche a concentrarci su chi sta interpretando queste tracce, e in che modo. Parliamo di qualcosa che ha anche profonde implicazioni etiche, e da sempre gli archivisti e le istituzioni della conservazione culturale sono alle prese con responsabilità di questo genere”.

Rimanendo in tema di auspici, la Boyd si augura infine che archivi, musei e biblioteche lascino qualcosa di molto importante in eredità ai più giovani.

Di queste istituzioni adoro la costante volontà di porre domande interessanti e difficili, azzardare ipotesi interpretative e metterle alle prova. Gli adolescenti hanno un grande bisogno di sviluppare queste capacità, e la mia speranza è che possano riuscirci anche facendo tesoro del loro lavoro. Non parlo solo di Internet e new media. In senso più ampio, stiamo parlando di ciò che serve per essere sufficientemente alfabetizzati e in grado di afferrare e capire quanto ci circonda”.

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