Regno Unito, God Save The Vellum

Il discorso della Regina che apre la legislatura slitterà perché l’inchiostro utilizzato per scriverlo sulla pergamena, con la quale si conservano tutti gli atti ufficiali del Parlamento, non si asciugherà in tempo. Con buona pace dei sostenitori della conservazione digitale...

Nella confusione che ha fatto seguito alle recenti elezioni svoltesi nel Regno Unito, è tornata alla ribalta una nota di particolarissimo colore britannico. Il discorso inaugurale della Regina alla Camera dei Lord, inizialmente previsto per il 19 giugno, è stato spostato in avanti, ufficiosamente perché il difficile quadro politico ha impedito di formare una maggioranza in tempi brevi, ufficialmente perché, tra le altre motivazioni addotte, l’inchiostro con il quale è stato scritto non avrebbe fatto in tempo ad asciugarsi. Questo perché ancora oggi, in piena epoca digitale, gli atti ufficiali del Parlamento britannico vengono scritti su fogli di pergamena realizzati con pelle di capra o di agnello. Il Post ha dedicato un articolo a questa anomalia, spiegando che a più riprese negli ultimi anni si è provato a passare a un sistema di archiviazione diverso, scontrandosi però contro la forza di una tradizione quanto mai dura a soccombere.

Le ragioni per cui si usa ancora la pergamena per archiviare i testi ufficiali delle leggi - si legge nell’articolo - non hanno solo a che fare con l’amore per le tradizioni tipicamente britannico: è che ancora oggi la pergamena è il supporto fisico più resistente per archiviare testi in modo non digitale. Ovviamente non è ignifuga, ma se viene conservata adeguatamente è migliore della carta di cellulosa: i produttori di carta per archivi di alta qualità dicono che è un materiale che può resistere per 500 anni, mentre di pergamene ne conserviamo di molto più antiche. La Camera dei Lord ha provato per la prima volta ad abolire l’uso della pergamena nel 1999: in quell’occasione i Comuni votarono contro la proposta per via delle qualità di conservazione della pergamena, per il rispetto di una tradizione e per preservare la sopravvivenza dell’ultima azienda produttrice di pergamena del Regno Unito, la William Cowley.

Fino al 1849 nel Regno Unito tutti gli atti pubblici venivano scritti a mano su fogli di pergamena che poi venivano arrotolati. Da allora gli atti, leggi comprese, invece che scritti a mano vengono stampati su pergamena e rilegati in forma di libro. Fino al 1956 anche gli atti privati venivano scritti sulla pergamena, prima che si passasse, almeno per quelli, alla carta per archivi. I testi delle leggi sono conservati nell’archivio di stato della Victoria Tower, la torre quadrata che si trova a sud rispetto al Palazzo di Westminster, che ospita il Parlamento. Se tutti i fogli di pergamena conservati nell’archivio fossero messi in fila, sarebbero lunghi 8 chilometri.

Nello stesso articolo si fa riferimento alle pressioni sempre più insistenti di quanti manderebbero volentieri in pensione l’archiviazione su pergamena per abbracciare finalmente le tecnologie digitali. A tale proposito, Il Post cita un articolo col quale la BBC approfondì la questione nel febbraio dello scorso anno. Tra i sostenitori della pelle di pecora e quelli della carta - suggeriva l’autore Chris Stokel-Walker, riportando il parere di Sharon McMeekin della Digital Preservation Coalition-  forse si sta semplicemente ignorando il nocciolo della questione: “le persone si lamentano perché col passaggio al digitale si perderebbe una grande tradizione, ma così facendo trascurano un aspetto ben più rilevante: in un mondo sempre più pervaso dal digitale, anche gli atti del Parlamento dovrebbero essere conservati in questo modo”.

A questa semplice constatazione, il direttore degli Archivi del Parlamento britannico aveva risposto obiettando che se questo processo a lungo andare doveva essere considerato inevitabile, ancora oggi sussistono motivazioni concrete che impedirebbero il passaggio al digitale. Rispetto alle pergamene - la sua tesi - i supporti informatici sarebbero tuttora molto più fragili e a rischio di usura irreversibile. A sostegno della loro posizione, gli amanti della tradizione amano fare riferimento ad un evento paradigmatico che risale al biennio 1984-1986. All’epoca nel Regno Unito fu lanciato il Domesday Project: gli allievi di circa 9.000 scuole affidarono a un questionario pensieri, ricordi e sogni per il futuro. Doveva trattarsi di una specie di istantanea sullo stato d’animo di una nuova generazione da lasciare in eredità ai posteri. Ma i dischi ottici sui quali furono salvati i dati raccolti con il sondaggio smisero di essere leggibili nel giro di pochi anni. Chi si occupa di conservazione digitale non farebbe molta fatica a smontare la tesi che si accompagna a questo aneddoto, e anche uno dei promotori del Domesday Project, già nel 2008, aveva perfettamente inquadrato la questione: “i dati sono andati persi non perché sia mancata una visione da parte degli esperti di tecnologia, quanto perché, almeno nel Regno Unito, i sistemi nazionali di conservazione dei dati e preservazione dei patrimoni semplicemente non funzionano in maniera affidabile e sistematica”.

Questo è il vero punto della questione - parole dell’archivista digitale dell’Università di York Jenny Mitcham - così come la conservazione di un archivio fisico richiede molta attenzione ad aspetti come la temperatura, l’umidità e la pressione atmosferica per evitare il deterioramento della carta, allo stesso modo occorre dedicare molta attenzione agli archivi digitali. Non c’è dubbio sul fatto che un formato digitale trascurato diverrà presto obsoleto, ma se quel supporto fosse conservato in un archivio digitale, e quell’archivio digitale fosse gestito in maniera corretta, le possibilità che possano essere leggibili anche in un futuro molto lontano crescono sensibilmente (...) col digitale l’ultima cosa da fare è lasciare qualcosa da qualche parte e abbandonarlo al suo destino. Occorre compiere delle azioni nel corso degli anni per assicurarsi che sia tutto ok.

L’articolo dello scorso anno si chiudeva con un ulteriore punto a favore del digitale: i metadati che si accompagnano ai file elettronici permettono di fornire una comprensione contestuale della loro realizzazione impossibile da acquisire con altri supporti. “Ad esempio è possibile scoprire quanto tempo una persona ha impiegato per scrivere un documento, e anche quanti cambiamenti sono stati realizzati nelle stesure delle varie versioni; nei nostri hard disk c’è tanta storia quanta è possibile trovarne nelle pergamene che risalgono a 500 anni fa”.

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ultima modifica 2017-06-19T15:47:00+02:00
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