Perché gli archivisti non digitalizzano tutto?

Le collezioni online riscuotono sempre più consenso, ma queste operazioni sono molto più onerose e complesse di quanto si tenda comunemente a pensare. Il blog di PAMA Peel Art Gallery fa luce sul dietro le quinte della digitalizzazione

La disponibilità di archivi e collezioni online cattura sempre più interesse, anche al di fuori delle cerchie degli addetti ai lavori. Se ciò è innegabile, perché gli archivi non digitalizzano tutte le loro collezioni? Alla domanda, trasformata in titolo, ha provato a rispondere un articolo pubblicato sul blog di PAMA Peel Art Gallery. Chi si occupa quotidianamente di conservazione digitale conosce gran parte delle risposte al quesito. Ma proprio in considerazione del sempre maggiore gradimento collettivo nei confronti degli archivi online, gli autori dell’articolo hanno ritenuto utile fornire chiarimenti a riguardo.

Nella maniera più chiara e semplice possibile, il loro intento è stato quello di spiegare il senso del proprio lavoro, e in particolare quanto possano essere complesse ed onerose operazioni di questo genere. Molti - argomentano in apertura - potrebbero pensare che digitalizzare e pubblicare dei contenuti archivistici online sia semplice o immediato come caricare una galleria fotografica su Facebook, o alcune pagine di libro scannerizzate su un blog. La realtà dei fatti però è ben diversa. Per questo può essere molto utile raccontare il dietro le quinte dei processi di digitalizzazione. Anche per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza di destinare più fondi e risorse a tali attività.

Di seguito, un elenco per punti dei principali fattori di costo e complessità annoverati nell’articolo:

  • Volume: spesso gli archivi contengono moltissimi contenuti, ma anche quando si tratta di collezioni di modeste dimensioni,  la loro digitalizzazione, se fatta con tutti i crismi, richiede una notevole quantità di lavoro.
  • Dimensioni: non tutti i contenuti sono facilmente scannerizzabili; le tecnologie di acquisizione automatica funzionano solo con documenti cartacei in buone condizioni e delle stesse dimensioni; quando queste condizioni vengono meno, l’unica strada rimane la scansione manuale, alla quale si accompagnano attività collaterali che accrescono ulteriormente i carichi di lavoro.
  • Cattura degli aspetti fisici: per quanto ben realizzata, una scansione resta un simulacro dell’originale. Quest’ultimo parla da sé, immediatamente e chiamando in causa diversi sensi. Molto più banalmente, una foto o un documento di interesse storico potrebbero ad esempio contenere delle annotazioni sul retro; informazioni che rischiano di andare perse nelle loro riproduzioni informatiche, a meno che non si svolga un ulteriore lavoro per veicolarle anche in digitale.
  • Contestualizzazione: questo aspetto è strettamente correlato al precedente e ne amplia la portata. Normalmente gli archivisti parlano di metadati: tecnici, aventi a che fare con le metodologie digitali di riproduzione, e a maggiore valenza archivistica, dai più semplici e immediati, quali la data cui risale un determinato contenuto, ad altri ben più complessi che permettono di ricostruire la cornice di riferimento. Il più complesso di tutti - si legge nel post - è il lavoro di ricostruzione che occorre fare per spiegare la posizione precisa di un elemento all’interno del proprio contesto: “un singolo contenuto appartenente ad una collezione archivistica non può raccontarci tutta la storia. Qui si annidano i processi di digitalizzazione più complessi che le persone di norma non riescono a intuire: il lavoro a monte di organizzazione e documentazione che permette di rendere intellegibili e navigabili le collezioni digitali. In mancanza di ciò, i file sarebbero poco più di una massa di contenuti indifferenziati di scarsissima utilità;
  • Qualità: una riproduzione digitale di livello e il più possibile fedele ai contenuti originari richiede molta attenzione e, tra le altre cose, numerosi controlli di qualità lungo l’intero processo. Non si tratta solo di problematiche di tipo estetico, bensì di un discorso più ampio che ha a che fare con la necessità di fornire un lavoro di contestualizzazione il più possibile accurato.
  • Manutenzione dei contenuti digitali: contrariamente a quanto pensino in molti, un file non è per sempre. L’obsolescenza tecnologica è uno dei principali problemi per gli archivisti digitali e addirittura rende a volte più oneroso il loro lavoro rispetto a quello tradizionale. Se ben conservato, un manoscritto antichissimo può essere letto sempre nello stesso modo e senza particolari sforzi; al contrario un file digitale deve essere costantemente tenuto sotto controllo e “migrato” per rimanere al passo con l’evoluzione delle tecnologie e degli strumenti.
  • Gestione delle risorse: le tecnologie per la scansione e la digitalizzazione dei contenuti possono essere anche molto costose, e in alcuni casi per la realizzazione di queste attività, specie se si fa riferimento a collezioni di grandi dimensioni, occorre contare sul lavoro di team specificamente dedicati. Considerato che in molti archivi il numero degli impiegati non è cresciuto negli ultimi anni, mentre al contrario la quantità di contenuti potenzialmente passibili di digitalizzazione è in costante e progressiva crescita, questi costi sono a loro volta sempre più rilevanti.
  • Condivisione responsabile: la digitalizzazione dei contenuti è solo il primo step. Una volta in rete, essi devono essere condivisi tenendo conto di numerosi fattori e vincoli, dagli eventuali diritti di proprietà intellettuale, alle esigenze di mantenere secretate alcune tipologie di informazioni. Tutto ciò richiede un lavoro aggiuntivo in termini di raffinamento e contestualizzazione, dal quale deriva un ulteriore aggravio dei costi.

Digitalizzare insomma non è una attività semplice e unidimensionale, quanto un processo complesso e multifattoriale che richiede innanzitutto metodo, capacità di analisi e pianificazione. Di conseguenza, anche significativi investimenti. Ecco perché gli archivisti non digitalizzano tutto. Farlo sempre più e meglio però, può dipendere anche dal contributo dei non addetti ai lavori. Per questo motivo, l’articolo si chiude con due raccomandazioni:

Come aiutare?

  1. Quando condividete una foto o un altro contenuto appartenente ad una collezione istituzionale, condividete anche l’informazione di contesto. Citate l’archivio, la biblioteca, il museo o la galleria che custodisce i contenuti originali (così come la sua collezione di provenienza, se la conoscete). Così facendo rendete evidenti svariati processi di lavoro che spesso restano nascosti: spiegate al mondo che dietro alcune immagini e contenuti ci sono delle persone che si sono presi il compito di tramandarli alle generazioni future, creando e rendendo disponibili delle copie. Veicolate inoltre delle informazioni di contesto che aiutino le persone a capire più e meglio quei contenuti.
  2. Siate curiosi riguardo a cosa gli archivisti, i professionisti dell’informazione e agli addetti ai lavori del settore culturale possono fare. Si tratta spesso di qualcosa che le persone non conoscono. Fatevi domande a riguardo e, una volta ottenute le risposte, condividetele. Più persone capiranno il senso e il valore del nostro lavoro, maggiore sarà il sostegno che potremo ricevere e, di conseguenza, quello che riusciremo a fornire.

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