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On e off line, alla Library of Congress si progetta la biblioteca del futuro — ParER — Polo archivistico dell'Emilia-Romagna

On e off line, alla Library of Congress si progetta la biblioteca del futuro

Il Washington Post descrive il doppio restyling, architettonico e sul web, in corso presso l'istituzione americana: un caso emblematico del modo in cui si prova a mutare pelle per rispondere alle sfide dell’era digitale

Come trasformare un luogo che ha finora ambito a essere una cattedrale laica, culla del sacro e del raccoglimento, nell’equivalente fisico di un megastore virtuale alla Amazon, dove la posta in palio è raggiungere il più velocemente possibile le casse per pagare ciò che si è infilato nel proprio carrello? Più che una domanda sembrerebbe una mission impossibile, e forse di fatto lo è, ma è proprio quella che stanno affrontando al momento alla Library of Congress, non una biblioteca qualsiasi, ma la Biblioteca per antonomasia, forte di quei 155 milioni di record archiviati, e altre 11.000 acquisizioni giornaliere, che la rendono di fatto il più imponente edificio di questo genere al mondo. Di questa mission impossibile, di fatto una considerevole operazione di restyling architettonico e organizzativo, si è occupato di recente il Washington Post, per provare a capire come le biblioteche stiano cominciando a ripensare se stesse per settarsi sul fuso orario dei media digitali.

Fuso orario che richiede nuove modalità di catalogare, organizzare e presentare i materiali ai propri pubblici, ma che paradossalmente non è stato del tutto assimilato neanche on line. Dalla lettura della storia si apprende infatti che la stessa galassia di siti e canali web realizzati nel corso del tempo dalla biblioteca pare obbedire più a metafore di stampo classico, o comunque fisico, che non alle regole di design tipiche dei luoghi più popolari e frequentati in rete. E non è un caso quindi che il restyling in corso alla Library of Congress sia di fatto una operazione double face, come si intuisce da un resoconto che oscilla continuamente tra lavori in corso on e off line, arrivando infine a suggerire l’idea che il confine tra le due dimensioni sia ormai in via di veloce dissolvimento.

Quanto ai dettagli, il Post rende noto che se i grandi schedari delle migliaia di opere custodite sono già da tempo relegati nei sotterranei dell’edificio, in una sorta di museo che racconta alle scolaresche la biblioteca del passato, anche la sala computer dalla quale era possibile effettuare le ricerche è ormai in via di smantellamento. A mandarla in pensione è stata l’estensione del servizio di connessione wireless in tutti i locali dell’edificio, dichiarano i curatori del progetto di restyling, precisando però che questo è solo un piccolo aspetto della rivoluzione in atto. Il cuore del cambiamento, spiegano, sta nel tentativo di unificare le tante sale di lettura attualmente esistenti, e soprattutto l’organizzazione che ne regola il funzionamento, in una sorta di gigantesco open space, progettato e gestito a partire dalle rinnovate esigenze di ricerca a fruizione degli utenti. Ed è qui che si segna il maggiore punto di contatto tra modifiche fisiche e cambiamenti on line. Anche su web infatti, alla Library of Congress pensano sia giunto il momento di dar vita ad un immenso one-stop shop virtuale, sul modello di Amazon o se si preferisce di Facebook, che permetta di accedere ai contenuti delle collezioni con la stessa facilità, nonché lo stesso piacere, con cui su questi siti si possono guardare centinaia di foto, o trovare i libri che fanno esattamente al caso proprio.

La parola d’ordine – on e off line – è insomma rovesciare la prospettiva: non è più il visitatore che deve capire come è organizzata la biblioteca e, a partire da ciò, trovare quello che sta cercando. Piuttosto tocca alla biblioteca rimodellarsi, per venire incontro ai rinnovati schemi mentali e abitudini di ricerca del visitatore. Facile e comodo a dirsi e capirsi sulla carta, molto più difficile da mettere in pratica, come si evince dai punti di vista di chi non è entusiasta al 100% di questi cambiamenti. Persone che l’articolo non dipinge in maniera negativa, istillando il dubbio che si tratti di conservatori allergici al nuovo, quanto piuttosto come professionisti giudiziosi e competenti, comprensibilmente in ansia per le possibili conseguenze di un simile salto quantico. “Se creiamo un unico open space per l’accesso alle opere – si chiede ad esempio un bibliotecario che incredibilmente si chiama Thomas Mann – si creerà una enorme confusione tra reference, ossia la necessità di trovare risposte a quesiti specifici, e research, intesa a sua volta come una modalità di ricerca dei contenuti più libera ed aperta a molteplici soluzioni”. E c’è anche chi si chiede se uno sforzo così immane di cambiamento, per di più in tempi di restringimento dei bilanci, non rischi di sottrarre attenzioni e soprattutto fondi alla preservazione delle opere e alla loro accessibilità.

Domande che paiono assolutamente legittime, ma che in ultima analisi sono forse secondarie rispetto a un interrogativo principale che ha a che fare con un vero e proprio mutamento di pelle, e che a ben vedere non riguarda la sola Library of Congress. Alla Yale’s Sterling Memorial Library, ad esempio, 20 milioni di dollari sono al momento investiti per un’imponente opera di restauro che non manca di guardare al digitale. “Cambiare l’aspetto della propria pagina Facebook è una cosa naturale – dichiara la bibliotecaria Susan Gibbons, in rappresentanza di questa istituzione – e anche i nostri spazi fisici devono divenire flessibili e modificabili a seconda delle esigenze dei visitatori. Non possiamo più pensare a una dicotomia tra reale e digitale: nella biblioteca ideale del futuro, tutto dovrà tenersi assieme”. Un imperativo categorico per accogliere i nativi digitali, afferma a sua volta il direttore di una biblioteca con cinquecento anni di storia alle spalle come quella di Oxford, mentre Bill Kellum, a capo del progetto di restyling delle applicazioni web e mobile presso la Library of Congress, ribadisce in chiusura i concetti fondamentali per metterlo in pratica: “saremo pronti per questo nuovo mondo solo quando passeremo da un modello basato sul nostro modo di vedere le cose, a uno che abbracci finalmente lo sguardo e la prospettiva degli utenti”.

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