Conservazione digitale, il futuro passa anche dalle emozioni

Questo il pensiero del decano statunitense Bill LeFurgy: per rafforzare la disciplina, scrive su The Signal, servono narrazioni che rendano i contenuti digitali appassionanti come i libri e gli altri prodotti culturali di tipo tradizionale

La grandissima parte della nostra produzione culturale è ormai declinata in digitale. Nonostante questo però, ancora oggi si fa fatica ad attribuire la giusta importanza al lavoro di chi si adopera per preservarne e tramandare nel tempo i contenuti più significativi. È questo il paradosso sul quale si interroga da tempo Bill LeFurgy, tra i primi e più autorevoli esperti di conservazione digitale in forze alla Library of Congress, sostenendo tra le altre cose che fino a quando non si riuscirà a infondere le sufficienti dosi di calore e colore nella disciplina, sarà difficile superare il problema. LeFurgy non è nuovo a riflessioni di questo genere, e chiunque abbia un minimo di familiarità con il blog The Signal sa bene che questo strumento, e più in generale le tante iniziative in materia di conservazione digitale promosse dalla biblioteca statunitense, insistono anche e soprattutto sulla necessità di rendere più pop, nel senso di “popolari”, argomenti e tematiche troppo importanti per essere relegati nelle sole cerchie degli addetti ai lavori.

Con una nuova riflessione in materia, l’esperto sottolinea però come il lavoro in tal senso sia ancora molto lungo e impervio. Perché – si chiede in apertura con una riuscitissima sintesi – alla domanda “che sentimenti provi nei confronti dei tuoi libri di carta?” le persone rispondono chiamando in gioco sentimenti e passioni, mentre quando si riferiscono ai file salvati sul proprio computer si dimostrano decisamente più fredde o al massimo tiepide? Perché i contenuti digitali non appassionano – è la sua tesi – e questo anche a causa della mancanza di adeguate operazioni di marketing – o con un termine meno “cinico” narrazioni – in grado di toccare le corde emotive delle persone e rendere evidente quanto un ebook, tutto sommato, possa avere lo stesso valore e la stessa ricchezza del caro, vecchio e rassicurante volume stampato.

Potrebbero sembrare questioni di lana caprina o bizzarri tentativi di tradurre in digitale gli ormai stucchevoli panegirici – anche tra tanti che i libri stampati li adorano – sul profumo della carta, o la malinconica poesia della celluloide. Ma in ballo c’è qualcosa di più importante, ed è su questo aspetto che LeFurgy invita a riflettere. Perché se qualcosa non appassiona e non scalda i cuori – è la sua tesi – difficilmente verrà concepito come importante e degno di nota, e sarà condannato alla marginalità anche da parte di chi sceglie in nome e per conto dei sentimenti popolari. Detto con parole più povere ma forse più chiare, questo significa che tra le altre cose godrà anche di meno attenzioni e finanziamenti pubblici, e poco importa se si tratta di fatto del paradigma attuale – quale è indubbiamente il digitale – e  meriterebbe di conseguenza ben altra considerazione. Domani infatti, se vorremmo volgere lo sguardo indietro ai nostri giorni, è con i file ed i petabyte che dovremo inevitabilmente fare i conti.

Con ciò, LeFurgy non invita affatto ad una sorta di crociata contro i libri e le biblioteche che li custodiscono, nella speranza che fette consistenti di quanto dedicato a questi settori possano essere drenate verso il mondo della conservazione digitale. Il suo appare un ragionamento più ampio, volto a sottolineare quanto sia importante la preservazione di qualsiasi tipo e formato di produzione culturale. E quanto potrebbe essere determinante – nell’ambito di questa considerazione generale – riuscire a “sacralizzare” gli ebook o gli mp3, così come si è riusciti a fare nel tempo con i volumi di carta e i vinili. Senza questo passaggio – è il suo timore – il rischio che si corre è di non avere i mezzi e le risorse, ma ancor più il necessario consenso, per salvaguardare il nostro presente e fare in modo che possa parlare anche alle prossime generazioni.

Come ho già avuto modo di scrivere in passato – si legge in chiusura del ragionamento – siamo giunti ad un punto in cui stanno emergendo diverse idee intriganti su come attribuire un ruolo più significativo e di peso alle collezioni digitali. Si tratta di un aspetto cruciale, e una sfida fondamentale che attende chi si occupa di preservare il patrimonio culturale digitale è lo sviluppo di nuove narrazioni che rendano evidente quanto questi aspetti impattino in maniera determinante sulle esistenze e i destini delle persone”.

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