“Basta ebook, chiamiamoli codeX”

La proposta è arrivata tempo fa dai promotori del progetto “Sprint Beyond The Book”. L’idea di fondo è che occorrono nuovi concetti per favorire lo sviluppo di un’editoria digitale radicalmente diversa da quella tradizionale

Se tra la lettura su carta e quella su schermo passa come minimo la differenza che corre “tra cavalli di differenti colori”, è forse il tempo di smetterla una volta per tutte con le copertine riprodotte in digitale e la metafora della pagina sfogliata anche se stiamo leggendo su un tablet. È questa la tesi di fondo espressa da Ed Finn e Joey Eschrich, due esponenti della Arizona State University alle prese con un progetto che già dal titolo tradisce tutta la voglia di cambiare marcia per andare incontro a un futuro profondamente diverso dal proprio passato prossimo. “Sprint Beyond the Book” il nome della iniziativa della quale si sono fatti promotori nei mesi scorsi per conto del Center for Science and the Imagination del proprio ateneo, in collaborazione con altre organizzazioni e istituzioni, e grazie ai finanziamenti di Intel corporation. Ma visto che si parla di nomi giusti da assegnare alle cose, è forse il caso di precisare che più di una iniziativa si sta parlando di qualcosa di assimilabile a una performance, andata in scena per la precisione in occasione dell’ultima Fiera del Libro di Francoforte, e della quale gli stessi Finn ed Eschric hanno reso conto con un articolo pubblicato all’indomani dell’evento su Slate.

È in Germania infatti, in occasione dell’appuntamento mondiale per antonomasia per chi si occupa di editoria, che un manipolo di scrittori, giornalisti, ricercatori e imprenditori del settore si è dato appuntamento, per provare a produrre nel giro di 72 ore un ebook dedicato al futuro degli stessi ebook. Una vera e propria corsa contro il tempo per cristallizzare su supporto digitale – con l’ovvio vantaggio di poter rifinire le cose anche ad esperimento finito – visioni, proposte e problematiche riguardo alle pratiche di scrittura e lettura di domani, con ulteriori cenni a quanto e come queste ultime modificheranno l’intera catena produttiva e distributiva di riferimento. Nell’articolo su Slate, i due autori parlano di un esercizio riuscito, e rimandano al sito del progetto per maggiori informazioni sul prodotto finale - cui ne è seguito poi un secondo, realizzato a inizio febbraio presso il campus di Phoenix della Arizona State University - e i prossimi passi in cantiere. Allo stesso tempo però, sottolineano come uno dei punti chiave emersi fin da subito abbia riguardato proprio la definizione dell’oggetto al centro della loro attenzione. “Abbiamo scritto in crowdsourcing – si legge nel resoconto – assemblato una dozzina di contributi, girato e incorporato nel prodotto diversi video, e tutto il frutto del nostro lavoro è anche accessibile on line gratuitamente. Ma nonostante tutte queste sciccherie, ci siamo arrovellati sulla parola libro durante l’intero processo”.

Una vera e propria ossessione, scaturita dalla consapevolezza che leggere centinaia di post su Twitter o Facebook, magari all’interno di un lavoro di ricerca, non può essere in alcun modo assimilato alla lettura della Divina Commedia. E che fino a quando non si faranno realmente i conti con questa radicale diversità, si potrà continuare a spendere tempo, parole e progetti sul futuro dell’editoria, rischiando però di non raggiungerlo mai, succubi di un passato talmente ingombrante da pregiudicare qualsiasi sforzo di immaginazione. Da ciò la proposta di avviare uno sforzo di emancipazione che cominci dal nome da attribuire in futuro a ciò che leggeremo su schermo, ampiamente discussa in occasione della performance andata in scena a Francoforte, e conclusasi con la convergenza su un termine che pare costruito apposta per sposare un passato di nobile lignaggio e un futuro declinato in digitale.

“Tutti i nomi che continuavamo a proporre in alternativa ad ebook suonavano sciocchi o noiosi – si legge nel resoconto di Finn ed Eschrich – "testo" era un competitor molto forte: dopo tutto, viene usato da chiunque per fare riferimento a qualsiasi cosa, dai discorsi politici alla canzoni rap, alle ricette di cucina. Purtroppo però, è una parola del tutto forviante: in futuro leggere vorrà dire prendere delle decisioni, guardare dei video, scrivere in risposta a quello che si fruisce, perdersi in vasti spazi virtuali (…). Con spensieratezza abbiamo proposto e scartato tante altre idee, come "grafie" ad esempio. Ad alcuni di noi è piaciuto molto il termine "plat", un diminutivo di piattaforma che suona come qualcosa di uscito dall’età dell’oro della fantascienza. Più lo pronunciavamo però, più suonava come un suono da fumetto appiccicato su un discorso ben più impegnativo.

A quel punto, abbiamo smesso di brancolare in avanti e abbiamo deciso di guardarci alle spalle. Con un po’ di trepidazione abbiamo proposto "codex" (codice), un termine talmente saturo di storia che molti di noi non ne colgono appieno l’intera gamma di significati. Codex deriva dal latino caudex, letteralmente il tronco di un albero, ma allo stesso tempo incorpora in sé il termine inglese code, che sarà assolutamente centrale d’ora in avanti, e in vari modi, nelle pratiche di lettura. Ciò che leggeremo non solo richiederà una gran quantità di programmazione in partenza, ma anche una capacità da parte dei lettori di decodificare diverse esperienze multisensoriali, così come di codificare le idee e i contributi che si formuleranno creativamente in risposta a quanto assimilato. Ma visto che i libri stampati di tipo tradizionale sono tecnicamente dei codici, abbiamo proposto una piccola variazione (con una crescente e giustificabile trepidazione), facendo ricorso ad una di quelle noiosissime lettere scritte in maiuscolo che ultimamente si trovano dappertutto: codeX, per rammentare a noi stessi che questi nuovi concetti richiedono esperienza, sperimentazione, eviscerazione… insomma, tutte queste parole piene di x (il riferimento è ovviamente ai termini inglesi di riferimento ndr).

Ma questa parola suona bene anche perché ci ricorda di X-Men e degli X Games: vediamo il futuro della lettura come un’arena nella quale vanno in scena dinamiche sociali, competizioni e vari tipi di giochi, un’arena in cui occorrerà fare punti e mettersi in mostra piuttosto che starsene a contemplare pacificamente arcobaleni. (Twitter già funziona così: uno spazio nel quale esercitare performance, dove tutti siamo spinti a concorrere per vincere il premio di “persona più intelligente di Internet in questo preciso momento”). I libri sono stati da sempre un’arma molto potente nel campo della battaglia culturale: servivano e servono per acquisire prestigio e riconoscimenti, e non si trasformeranno magicamente in spazi utopici da qui a breve. Forse rischiamo di essere troppo accademici, ma pensiamo che la X evidenzi il giocoso conflitto (per quanto speriamo amichevole) intrinseco alle pratiche della lettura digitale.

Dalle piattaforme di lettura social come Medium ai libri pop up digitali sul modello di Between Page and Screen – concludono i due autori – stiamo già costruendo il futuro della lettura, e non c’è verso di tornare indietro. Allora mettiamoci d’accordo su un nuovo termine, e smettiamola di pretendere che questi modi assolutamente inediti di leggere possano essere paragonabili all’esperienza unica e adorabile che si ottiene sfogliando un libro di carta”.

È quindi da Codex e dal lavoro svolto in maniera collaborativa on line negli ultimi mesi che si ripartirà per una terza maratona di scrittura digitale, in programma, presso la Stanford University, in California, dal 12 al 14 maggio. Dei risultati si renderà ovviamente conto on line, e a nostra volta con uno sprint cercheremo di renderli noti il prima possibile.

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