Zero Freitas: l'uomo che vuole comprare e conservare tutti i vinili del mondo

È brasiliano, possiede milioni di dischi, e continua ad acquistarne in preda a un’ossessione che ha a che fare anche con la voglia di preservare uno sterminato patrimonio musicale dall’oblio. Ad agosto la sua interessantissima storia è stata raccontata sulle pagine del New York Times

In agosto, con un lungo articolo firmato da Monte Reel, il New York Times ha raccontato l’incredibile storia di Zero Freitas, un 62enne di São Paulo,in Brasile, che è molto probabilmente il più grande collezionista esistente, nonché mai esistito, di vinili musicali. L’incipit rende conto in maniera esemplare di quella che viene descritta come una vera ossessione. Narra il Times che Paul Mawhinney, proprietario per 40 anni di un negozio di dischi a Pittsburgh, ha speso la propria vita ad accumulare 33 e 45 giri, e poi passato invano decenni a cercare acquirenti per salvarli dall’oblio. Quando ormai sembrava avere perso ogni speranza, lo scorso anno Mawhinney si è visto comprare l’intera partita, per il trasporto della quale sono occorsi ben 8 tir, da un venditore anonimo.

Quel venditore anonimo era ovviamente Freitas, e la cosa che colpisce è che la compravendita viene presentata come uno tra i tanti “colpi” del genere messi a  segno da questo brasiliano che “da quando era bambino non riesce a smetterla di comprare dischi”. “Sono stato in terapia 40 anni per provare a capire perché lo faccio”, ha ammesso al Times Freitas, che per fortuna ha un attività di successo alle spalle, essendo proprietario di una linea di bus, e dispone dei mezzi per alimentare questa bulimia. Forse tutto è cominciato quando aveva 5 anni e suo padre comprò uno stereo, ricevendo anche 200 dischi dal venditore, ma cosa sia scattato nella sua testa tanto da fargli possedere 3.000 vinili già alla fine del liceo, e svariati milioni oggi, non è dato sapere. E rimane in effetti un mistero fino alla fine del racconto.

Al di là della storia personale, bellissima e a tratti struggente, l’articolo è interessante perché fa luce sugli sforzi compiuti per non perdere l’immenso patrimonio custodito nei solchi di milioni di dischi che non hanno più alcun valore commerciale, e sarebbero perciò destinati alla distruzione in mancanza di personaggi come Freitas. La descrizione del “pool di archivisti” che lavora al suo fianco, in un immenso magazzino di São Paulo, è molto eloquente.

Ultimamente Freitas ha assunto una dozzina di stagisti, chiedendo loro aiuto per dare un senso logico alla sua ossessione. Nel magazzino, sette erano occupati alle proprie postazioni personali; una di loro ha pescato un disco da una cassa ricolma di vinili, marcata con la cifra “PW #1.425”. Sfilato il disco dalla custodia, lo ha pulito con un panno morbido e lo ha passato al collega di fianco. A lui il compito di entrare in una cabina protetta da tende nere e scattare una foto della copertina. Proseguendo il percorso lungo la catena di montaggio, il disco è stato catalogato in un database. Uno stagista ha scritto il nome dell’artista (“the Animals”), il titolo (“Animalism”), l’anno di uscita (1966), l’etichetta (MGM) e — facendo riferimento alla cassa dal quale era stato estratto –che era appartenuto a Paulette Weiss, una critica musicale newyorchese dalla quale Freitas ha acquistato di recente 4.000 album.

Gli stagisti – prosegue l’articolo – possono catalogare circa 500 dischi al giorno, una cifra che fa pensare a Sisifo, se si considera che Freitas continua ad azzerare il contatore, acquistando incessantemente altri vinili.

Stuzzicato in proposito, Allan Bastos, che da anni fa da fido scudiero a Freitas alla caccia di nuove collezioni da acquistare, ha ammesso che per catalogare i milioni di vinili accatastati dal suo amico potrebbero occorrere 20 anni. “Se la smettesse di comprare dischi”, ha però prontamente precisato. Resta da capire cosa ne sarà di questa enorme collezione di dischi una volta che Freitas non ci sarà più, e a quanto pare anche il diretto interessato ha cominciato a porsi la domanda. Dalla storia si apprende che Bob George, un archivista musicale newyorchese, sta pungolando ripetutamente Freitas sull’argomento, forte a sua volta della propria esperienza. Nel 1985, George ha convertito la propria collezione privata, di “appena” 47.000 pezzi, in un archivio accessibile al pubblico: l’ARChive of Contemporary Music. Nel tempo, anche grazie al contributo di artisti di fama internazionale come Keith Richards, David Bowie, Paul Simon e Martin Scorsese, la collezione è cresciuta a dismisura, e oggi conta 2.2 milioni tra dischi, nastri e compact disc.

Musica per le orecchie di Freitas, che a sua volta ha cominciato a fantasticare su un Emporio Musical da lasciare in eredità al mondo. Trasformando la propria impresa in una organizzazione no profit, quello cui aspira è di creare una specie di biblioteca dotata di stazioni di ascolto, migliaia di scaffali, e la possibilità per i visitatori di prendere in prestito dei dischi, a patto però che in archivio ci siano altre copie degli stessi. Al di là e prima dei sogni, continua però ad aleggiare una domanda su cosa occorrerebbe fare per conservare al meglio tutto questo materiale e evitare che in futuro – parole di Bastos – tantissima musica prodotta in ogni angolo del mondo scompaia in silenzio.

Molti dei dischi americani e inglesi collezionati da Freitas sono già stati conservati in digitale – si legge sul Times – ma in paesi come il Brasile, Cuba e la Nigeria, Bastos stima che più dell’80% della musica registrata nel 20esimo secolo non sia stata ancora digitalizzata. “In molti luoghi – ci ha spiegato – la musica è solo su vinile e questi vinili sono difficilissimi da trovare”. Freitas, al suo fianco, si è accasciato, ha portato le mani al volto, e ha emesso un suono basso a metà tra il gemito e un brontolio. “È molto importante salvare questo materiale – ci ha detto – molto importante”.

Freitas sta negoziando un contratto per vendere e digitalizzare migliaia di 78 giri brasiliani che risalgono ai primi anni del 1900, e a stretto giro conta di digitalizzare i dischi più rari della propria collezione. Ma si dice certo che potrebbe salvare la musica con più efficacia disponendo di un edificio sicuro, a prova di incendio. “I vinili durano davvero molto – ci ha detto – se li si impila in verticale, lontani dal sole, in un ambiente a temperatura controllata, possono praticamente durare in eterno. Non sono mica come i compact disc, quelli sì veramente fragili”.

Parole emblematiche per capire che Freitas è sicuramente preoccupato dalla necessità di preservare questo materiale, ma che la fonte di ansia principale rimane il possesso. E in fondo è proprio questa ambivalenza, così irrazionale e talvolta fonte di veri e propri cedimenti emotivi, che rende così appassionante la storia del Times. Da questo punto di vista, il lungo finale è un piccolo gioiello da assaporare nella sua interezza. Quasi come fossimo Freitas al cospetto della sua amatissima collezione.

Questo desiderio di possedere tutta la musica del mondo è chiaramente invischiato in qualcosa che, anche dopo tutti questi anni, rimane tenero e crudele al tempo stesso. Forse è la nostalgia che scaturisce riascoltando le canzoni del primo disco che acquistò nel 1964, un album del cantante brasiliano Roberto Carlos; o forse risale al ricordo di quella piccola collezione di 200 dischi, appartenuta ai genitori, che fu danneggiata durante un’alluvione, ma che poi Freitas, da adulto, ha faticosamente ricostruito, album dopo album (…)

Nella sua cantina, Freitas conserva gelosamente una piccola collezione privata che non condivide con l’archivio. A parte un piccolo spazio dove giace della strumentazione musicale, si tratta di un labirinto colmo di dischi dal pavimento al soffitto. È in questo labirinto che si è immerso, alla ricerca del primo disco che ha comprato nel 1964, quello di Roberto Carlos. Lo ha sfiato dallo scaffale, lo ha rigirato lentamente tra le mani, e ha guardato la copertina come fosse un pezzo altrimenti irrintracciabile. Cosa che non è affatto, visto che Freitas possiede altre 1.793 copie dell’album dell’artista che ha sempre occupato, e sempre occuperà, più spazio di chiunque altro nella sua collezione.

Più in la c’era una scatola di dischi che non aveva ancora riposto sugli scaffali. Provenivano dalla collezione di Paulo Santos, un dj e critico di jazz brasiliano, che ha vissuto a Washington negli anni 50, ed è stato amico di alcuni giganti del jazz e della musica moderna. Freitas ha sfogliato un album dopo l’altro: Duke Ellington, Ella Fitzgerald, Leonard Bernstein, Dave Brubeck. I dischi erano firmati, e non con semplici autografi. Gli artisti avevano scritto parole d’affetto per Santos, un uomo che evidentemente rispettavano.

“Queste dediche sono così personali” – ha detto Freitas – quasi sospirando. Ha trattenuto il disco di Ellington per un attimo in più, leggendo la dedica e le note di copertina. Dietro i suoi occhiali, gli occhi apparivano un po’ arrossati e acquosi, come se qualcosa li stesse irritando. Forse la polvere. Ma il disco era perfettamente pulito.

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