Snapchat e affini, il futuro della privacy è nel tasto Canc?

Secondo Matt Buchanan, firma del New Yorker, il successo del servizio di messaggistica che cancella le foto inviate ai propri contatti dopo la loro visione, è una reazione alle crescenti pretese di condivisione esercitate dai social media

Snapchat è un servizio di messaggistica istantanea lanciato nel 2011 e divenuto molto popolare tra gli adolescenti statunitensi. Secondo gli ultimi dati, nello scorso febbraio attraverso la piattaforma sarebbero stati scambiati circa 60 milioni di foto o video al giorno, contenuti automaticamente distrutti dal sistema una volta fruiti dalle persone alle quali vengono inviati. Commentando queste cifre, e più in generale il successo degli altri servizi nati di recente per promuovere una condivisione effimera e non permanente delle informazioni, l’esperto di new media Matt Buchanan ipotizza che si tratti di una sorta di reazione, specie tra le nuove generazioni, alla retorica dello “share more” promossa da Facebook e dagli altri social media.

Alla base di questa retorica, spiega il giornalista, c’è soprattutto la volontà di monetizzare al massimo, cercando di stimolare il più possibile gli utenti a manifestare ed esporre i propri gusti e preferenze, per attrarre crescenti investimenti pubblicitari sulle proprie piattaforme. Buchanan parla in proposito di una tendenza ormai largamente diffusa, e sempre più accettata a livello sociale, alla registrazione “always on” delle nostre esistenze, e per dare un’idea della deriva in tal senso fa riferimento ad un prodotto che sta per essere lanciato sul mercato statunitense. Il prodotto è una microcamera chiamata Memoto, facile da indossare e portare con sé in qualsiasi contesto, in grado di scattare foto ogni 30 secondi, in automatico, fino a quando non viene riposta in tasca o adagiata su un tavolo o altre superfici, di modo in modo che l’obiettivo aderisca ad esse. Per il giornalista la particolarità di questo prodotto è che estremizza l’idea del “lifelog”, ossia di una documentazione costante delle nostre esperienze ai fini della condivisione di dati e informazioni. “La vita diventa una performance senza soluzione di continuità – scrive – catturata e perennemente monitorata dagli analisti di dati e dagli esperti di marketing”, e sui social media, aggiunge, si va depositando una crescente mole di contenuti che dovrebbe in qualche modo “rappresentare la verità su ognuno di noi”.

Ed è proprio come risposta a questo accumulo, così come all’idea che da esso si possano ricavare informazioni certe e incontrovertibili sulle nostre esistenze, che secondo Buchanan vanno interpretati il successo di Snapchat e affini. Se nell’era dei social media la privacy rischia di rimanere sepolta sotto il peso della condivisione 24/24, forse l’unica risposta, suggerisce, sta nella cancellazione automatica e volontaria delle proprie tracce.

“In questo contesto – si legge nell’articolo – l’affermazione di Snapchat tra gli under 25 cresciuti a pane e Facebook, non è del tutto sorprendente (…). Quando parlai qualche anno col fondatore di Snapchat, Evan Spiegel, fu abbastanza restio a sostenere che il suo servizio fosse parte di un più ampio movimento di resistenza alla permanenza. ‘È difficile pensare una cosa del genere’, mi disse, anche se si lamentò che ‘le nostre intere esistenze sono ormai state condivise, postate, retwittate e inoltrate’. Certamente, convenne sul fatto che Snapchat ci permette di ‘liberaci da una collezione amorfa di informazioni e dati che dovrebbe raccontare chi siamo stati in passato’.

Snapchat evidenzia la facoltà di cancellazione come resistenza al totalitarismo gentile della condivisione infinita. Cancellare permette di creare dei vuoti in questa attività di documentazione; è una forza che destabilizza e mette in discussione l’autorità e la pretesa da parte di Facebook e Twitter di raccontare sempre di più le nostre esistenze, e in tal modo definire le nostre identità. Si tratta dell’unico modo per essere selettivi, scegliere, nel momento in cui tutto viene condiviso. Io, ad esempio, cancello spesso dei tweet (pratica che ho scherzosamente definito snaptweeting). Esiste una aspettativa, ormai generale e diffusa, che un tweet sarà per sempre, specie se questo viene in qualche modo incardinato nell’infrastruttura generale del sistema, attraverso una preferenza o un retweet. Se invece il messaggio scompare nel giro di poco, ecco che si crea una falla, un piccolo vuoto nel disegno che dovrebbe definire la mia identità.

In occasione del festival South by Southwest (SXSW) il manager di un social network mi ha fatto notare, con la massima serietà, che il futuro della privacy costituirà nel mentire. Ma è abbastanza difficile mentire di continuo se siamo costantemente sorvegliati. E se ormai non siamo più in grado di custodire nulla che ci riguarda, cancellare sarà la vera privacy. Forse però, è il caso di aggiungere che quando ho chiesto al produttore della camera Memoto se è prevista una funzione di cancellazione nel lifelog del suo prodotto, mi ha risposto che al momento non è contemplata nel software”.

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