Scrivere a mano? "Aiuta ad apprendere meglio"

In America si riaccende il dibattito sulla necessità o meno di preservare la scrittura in corsivo, eliminata come materia di insegnamento in molti Stati perché considerata ormai obsoleta. Tesi contro la quale si è levata di recente una nuova voce dalle pagine on line del NY Times

“Non conta solo cosa scriviamo, ma come lo scriviamo”. Con questa frase la scrittrice Maria Konnikova ha riaperto il dibattito negli Stati Uniti sulla necessità o meno di continuare a insegnare l'arte di scrivere a mano. Della questione avevamo già scritto a marzo e a novembre dello scorso anno, e rimandiamo a queste fonti per una più approfondita definizione del contesto. Qui ci limitiamo a ricordare che numerosi Stati hanno recentemente eliminato questo insegnamento dalla lista delle materie obbligatorie: inutile insistervi – è la motivazione di fondo – se tutto ormai viene scritto e condiviso usando le tastiere.

La tesi ha incontrato non poco consenso, e d’altronde lo dimostrano le scelte istituzionali appena citate, ma come ampiamente immaginabile è tutt’altro che unanimemente condivisa. Nel suo articolo per il NY Times, la Konnikova dà proprio voce a quanti, specie nel campo della psicologia cognitiva, sono poco o per nulla convinti del fatto che il corsivo possa essere tranquillamente relegato tra le “bizzarre reliquie del passato”. Tra questi lo psicologo francese Stanislas Dehaene: scrivere a mano – afferma – mette in moto un circuito neurale che ci farebbe gradualmente assimilare il gesto necessario a tracciare uno specifico segno. Ed è quel circuito – sintetizza – a rendere più facili i nostri percorsi di apprendimento. A sostegno di questa teoria, nell’articolo si legge anche di un test del 2012, condotto dalla psicologa Karin James, e realizzato con un gruppo di bambini. Il loro compito era di riprodurre una lettera in tre differenti modi: su un foglio bianco; su una pagina che già conteneva un contorno tratteggiato della lettera; e sullo schermo di un computer, servendosi di una tastiera. Con uno scanning cerebrale effettuato successivamente, fu chiaro che nel solo caso della scrittura a mano libera venivano attivate con intensità le stesse aree del cervello normalmente stimolate negli adulti alle prese con attività di lettura e scrittura. Questo perché, stando alle interpretazioni della James, è solo scrivendo a mano libera che il bambino deve in pratica imparare a compiere un percorso, senza disporre di nessun altro aiuto se non la possibilità di trarre tesoro dai propri errori. “All’inizio i risultati possono essere estremamente variabili – afferma la psicologa – ed è proprio in quella variabilità, e nella capacità di avvicinarsi sempre più al modello di riferimento richiesto, che risiede un altissimo potenziale di apprendimento”.

Sbagliando si impara, in estrema sintesi, e forse si riesce anche a immaginare di più, come suggerisce un altro studio a opera di Virginia Berninger. Anche in questo caso dei bambini sono stati chiamati a scrivere in corsivo e con una tastiera, e anche in questo caso l’evidenza è che per farlo hanno stimolato aree del cervello completamente differenti. Ma non finisce qui, perché secondo la Berninger “scrivendo a mano, i ragazzi non solo erano in grado di comporre più parole e più in fretta, ma anche di esprimere più idee e pensieri”. Inoltre e infine, i soggetti con la grafia migliore sembravano anche in grado di attivare le stesse aree del cervello normalmente stimolate durante le attività di memorizzazione. Per rafforzare la tesi che scrivere a mano o a macchina comporti due attività cerebrali molto differenti, Konnikova cita anche degli studi a carattere clinico condotti su soggetti che, a causa di lesioni celebrali, avevano visto compromesse le proprie capacità di scrittura o lettura. Nuovamente, l’evidenza è che spesso se si disimpara a scrivere o leggere in corsivo, lo stesso non accade per la scrittura meccanica, o viceversa.

Per la giornalista inoltre, i benefici della scrittura a mano si estenderebbero anche oltre l’infanzia. “Scrivendo al computer – argomenta – gli adulti riescono a essere molto più veloci e performanti rispetto a quanto potrebbero fare manualmente, ma forse questa efficienza la si paga con una minore capacità di processare nuove informazioni. Non solo apprendiamo meglio il significato di ogni singola lettera se la scriviamo a mano, e così facendo la memorizziamo gradualmente. Ma è probabile che anche le capacità generali di apprendimento e memoria possano aumentare”. E ancora una volta ci sarebbero evidenze scientifiche a riguardo: uno studio condotto con alcuni studenti della University of California dimostrerebbe che prendere appunti a mano, anziché col laptop o il tablet, potrebbe aiutare a fissare meglio i concetti e le nozioni.

Ma forse l’evidenza più forte a sostegno delle proprie tesi la Konnikova se la tiene in coda, e la scelta appare tutt’altro che casuale. Stavolta a parlare è Paul Bloom, piscologo annoverato tra gli scettici sui presunti benefici a lungo termine derivanti dalla scrittura a mano. Scettico, ma a quanto sembra in via di conversione, perché, suo virgolettato alla mano, “se è vero che scrivere a mano aiuta a concentrarsi meglio su ciò che si ritiene importante, forse effettivamente aiuta anche a pensare meglio”. In attesa della prossima replica, nel corso di un dibattito che continua a stimolare gli Stati Uniti neanche fosse una lunga e gratificante sessione di calligrafia collettiva.

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