A volte il personale è politico, anche quando si tratta di conservazione

Un columnist del New Yorker interviene nel dibattito sull’email-gate: al di là delle fonti esclusivamente ufficiali, sicuri che i contenuti riguardanti alcuni dettagli privati della Clinton non meritassero di passare alla storia come accaduto per tanti personaggi politici del passato?

In America si continua a discutere per lo scandalo email-gate, scatenato dopo le rilevazioni del NY Times sul comportamento tenuto da Hillary Clinton durante il mandato da Segretario di Stato. Rimandando ai nostri precedenti approfondimenti per i dettagli, la moglie dell’ex Presidente Bill è stata oggetto di numerose critiche, spesso feroci, per avere scambiato messaggi di lavoro usando il proprio indirizzo di e-mail privato, anziché quello ufficiale, compromettendo la conservazione di decine di migliaia di documenti di potenziale interesse pubblico per l’intera nazione.

C’è chi ha fortemente biasimato la Clinton per tutto ciò, ma anche chi, in nome dell’efficienza e dell’usabilità, ne ha appoggiato le scelte. Quasi sempre però, pur nella varietà delle posizioni, il discorso è rimasto ancorato alla corrispondenza istituzionale che rischia di andare perduta a causa di questa condotta. Introducendo un nuovo elemento di complessità, il giornalista Jeffrey Frank del New Yorker si è chiesto però di recente se e quanto possa essere facile e scontato suddividere ciò che è pubblico, e in quanto tale meritevole dell’attenzione generale, dai dettagli relativi ai vissuti personali, che invece sarebbe giusto non divulgare. Spesso quando si tratta di personaggi pubblici e molto popolari, è la tesi di Frank, la storia passa proprio dal colore e dalle peculiarità che si accompagnano alle loro vicende private. E se si concorda su ciò, diventa ancora più difficile legittimare l’eliminazione di documenti e materiali partendo dal presupposto che essi riguarderebbero le sfere personali.

Nell’articolo si fa riferimento ad un antefatto illustre, con numerosi cenni ai machiavellismi che contraddistinsero l’operato del presidente Eisenhower e del suo staff durante la Rivoluzione ungherese del 1956. Se infatti agli occhi della nazione la condanna della repressione sovietica fu inamovibile, nelle segrete stanze del potere, tutti i carteggi dell’epoca sottolineavano la necessità di non spingersi troppo in là, per non influire sull’operato della superpotenza rivale, ed evitare pericolose reazioni a catena. Frank sottolinea che di tutto ciò si può serbare memoria perché all’epoca queste fonti furono conservate dai National Archives statunitensi, senza che i politici  potessero influire in merito, stabilendo cosa meritasse di essere archiviato e quanto dovesse invece essere cancellato perché attinente a questioni personali.

Usando il proprio account privato, e poi, a scandalo scoppiato, decidendo cosa consegnare o meno al Dipartimento di Stato in nome del proprio diritto alla privacy, la Clinton si sarebbe invece arrogata il diritto di riscrivere la storia a proprio piacimento. “E ogni volta che un funzionario pubblico stabilisce da solo che uso fare delle proprie comunicazioni ufficiali – scrive Frank riportando il parere di un dipendente dei National Archives – il buon governo cessa di esistere”. Il giornalista non nega che se ci fossero state le e-mail e i media digitali, anche all’epoca di Eisenhower molto probabilmente parte di quanto prodotto e scambiato dai vertici politici e istituzionali sarebbe stato cancellato in maniera preventiva. Né tralascia di ricordare quanto possa essere lungo, difficoltoso e fallace il compito di archiviare i documenti digitali nell’era di Internet.  Citando il libro “The Future of the Past”, scritto da Alexander Stille nel 2002, ricorda ad esempio che per preservare i soli record elettronici prodotti durante la presidenza Reagan, in anni ancora abbastanza lontani dal boom informatico, i National Archives abbiano impiegato qualcosa come due anni e mezzo, coinvolgendo a pieno regime tutto il proprio staff di archivisti digitali.

Pur consapevole di questi limiti, e di quanto complesso e macchinoso possa essere il lavoro delle istituzioni che si occupano di tramandare la nostra memoria digitale, Frank condanna però duramente la Clinton. Il suo, scrive, è stato un abuso di potere che rischia di creare un pericoloso precedente. E che comunque, a prescindere da questo, priverà l’America di una parte del proprio passato che, vicende personali o meno, andava consegnato in maniera integrale alle generazioni future.

Forse la Clinton ha agito nel pieno rispetto della legge – si legge nell’articolo – colpisce però che abbia svolto sia il ruolo di imputato sia il ruolo di giudice in maniera estremamente spensierata, senza alcun dubbio sul fatto che a volte le questioni personali sono inseparabili dai fatti storici. Adottando una prospettiva più piccola, i consigli del Presidente Eisenhower al nipote – tra cui ad esempio quello di non mangiare con troppa foga – rivelano qualcosa di molto interessante su un personaggio storico che fu affetto da problemi di stomaco per gran parte della propria esistenza. Questi consigli possono essere letti da chiunque nella Biblioteca Eisenhower Library, ad Abilene, in Kansas. I diari scritti all’epoca dalla sua segretaria personale Ann C. Whitman, davvero degni di nota,  contengono anche una dolorosa conversazione, di carattere estremamente personale, con la quale il Presidente raccomandava al Comitato Nazionale Repubblicano di comunicare a Richard Nixon che non sarebbe stato coinvolto nel ticket presidenziale in vista delle elezioni del 1956, ma di farlo in maniera “molto, molto delicata”.

Se è vero che la legislazione in materia non era perfettamente delineata durante l’incarico della Clinton, lo è altrettanto che il Dipartimento di Stato aveva raccomandato ai funzionari che usavano abitualmente i propri account personali di assicurarsi affinché “i documenti ufficiali inviati o ricevuti su questi sistemi fossero archiviati dall’apposito sistema di conservazione a disposizione delle agenzie”. Quell’apposito sistema sono i National Archives, il luogo in cui tutto il passato ufficiale della nostra nazione – con tutte le proprie peculiarità, imbarazzi, appassionanti storie personali e sorprese – è stato conservato e può essere oggetto di attenzione e studio. Se qualcosa di così effimero come un’e-mail scompare, scompare per sempre, e con essa scompare anche un pezzo della nostra storia collettiva.

Chi non ama la Clinton ha approfittato di questo scandalo per attaccarla a testa bassa. Qualcuno, complici le candidature per le presidenziali alle porte, ha evocato addirittura il

Watergate, ventilando l’ipotesi che fatti di estrema importanza siano stati secretati e arrivando a parlare di possibile ostruzione alla giustizia. È molto probabile che non si sia arrivati fino a questo punto. È invece molto probabile che questo comportamento abbia impedito la conservazione della nostra storia, cancellando parti del passato americano. Sia stata una scelta consapevole oppure no, se mai c’è stato un danno irreparabile, è su questo versante che è stato commesso.

Leggi l'articolo di Jeffrey Frank sul Ney Yorker

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