Conservazione, il futuro è di carta?

Sul blog Memoria Digitale Simone Vettore cita un recente studio che pone seri dubbi sulla reale durata della carta acida, da alcuni indicata come soluzione più economica ed efficace del digitale per la conservazione nel lungo periodo, e ipotizza il doppio binario cartaceo e informatico per arginare l‘obsolescenza dei supporti e il conseguente rischio di perdita delle informazioni

foto tratta dal profilo Flickr di Marc Wathieu rilasciata con licenza Creative CommonsAttribution-NonCommercial 2.0 Generic (CC BY-NC 2.0) Il post di Simone Vettore, intitolato “Backup atomico adieu”, prende spunto dalla ricerca del chimico Paolo Calvini, che sembrerebbe attribuire alla carta acida, e di conseguenza alla conservazione attraverso questo supporto (tecnicamente chiamata backup atomico), una capacità di resistenza all’usura del tempo decisamente inferiore rispetto a quella finora stimata.

Nell’articolo Vettore espone inizialmente i propri dubbi sulla conservazione attraverso supporti informatici, “non tanto – spiega - per l’impossibilità tecnologica di farlo ma per i costi proibitivi e soprattutto l’improbabilità che la necessaria volontà di conservazione rimanga immutata per così tanto tempo”. Questo tipo di conservazione – sostiene in sintesi Vettore – impone infatti una continuità operativa necessaria a contrastare costantemente la rapida obsolescenza dei supporti e dei programmi digitali, e garantire così il periodico aggiornamento dei dati da custodire affinché possano essere immagazzinati e processati sugli strumenti di volta in volta adottati come standard.

La carta invece, prosegue il ragionamento, ha dimostrato nei secoli ben altra capacità di tenuta, e non richiedendo in pratica altro che la conoscenza dei linguaggi usati per la scrittura della informazioni, oltre che la conservazione in idonee condizioni ambientali dei documenti, sembrerebbe essere una soluzione decisamente più economica ed efficace rispetto al digitale. Questo, precisa Vettore, dovrebbe valere in particolar modo per la carta non acida, non a caso indicata da molti come soluzione ideale per conservare anche i documenti prodotti inizialmente in digitale ma meritori di essere tramandati nel lungo periodo.

Lo studio di Calvini che dà spunto alla riflessione sembra però rimettere tutto in discussione, e, argomenta Vettore, invita a porsi nuovamente la domanda su quale possano le soluzioni più adatte per salvare le conoscenze e i saperi dall’usura del tempo.

“In base ai suoi studi – si legge nel post – le tecniche di invecchiamento artificiale usate dalle industrie cartarie per simulare tempi e modalità di degradamento future della carta non sono affidabili; per esserlo i principali test usati dovrebbero durare mesi ed anni e non giorni o al massimo settimane!
Arriviamo dunque al punto dolente della vicenda: si tratti della carta o di un disco ottico le aziende produttrici, pur di ‘vendere il prodotto’, dichiarano prestazioni (confermate da ‘severissimi’ test) da favola. Purtroppo le ‘rivelazioni’ di Calvini ci dicono che su questi test possiamo fare gran poco affidamento e vien da chiedersi se ciò valga anche per la carta acida alla quale potremmo aver deciso di affidare i nostri documenti più importanti!
Rebus sic stantibus quali alternative ci rimangono? Posto che personalmente ritengo che la strategia conservativa migliore sia ‘la moltiplicazione delle strategie di conservazione’ (perdonate il gioco di parole) a fianco della normale conservazione del digitale (meglio se all’interno di un sistema) mi terrei buona la possibilità, come extrema ratio, del citato backup atomico con l’accortezza di farsi coadiuvare, nel momento della scelta della propria carta acida, di quella nuova figura di esperto (prospettata sempre da Calvini) che è il paper conservation scientist: essa ci potrebbe ad esempio confermare, attraverso opportuni esami di laboratorio, se la carta acida individuata è veramente ‘buona’…”

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ultima modifica 2012-05-10T12:42:00+02:00
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