Badilisha, la poesia africana on line senza filtro

Oralità e affermazione delle letterature locali senza la mediazione dei punti di vista occidentali: è la ricetta di successo di un archivio digitale che sta facendo parlare di sé in Africa e nel resto del mondo

È nato nel 2011 su iniziativa dell’Africa Centre, and arts and culture organization, presenta al momento le opere di 350 autori provenienti da 24 Paesi africani, e la sua ambizione non è tanto e solo di essere una vetrina digitale di questi lavori, quanto di proporsi come la casa comune alla quale i poeti, e i loro lettori, possano sentirsi fieri e orgogliosi di appartenere. Questo il biglietto da visita dell'archivio digitale Badilisha Poetry X-Change, oggetto di attenzione di recente del sito Take Part e ancor prima, tra gli altri, del Guardian, per la brillante miscela tecnologica, culturale e identitaria con la quale sta provando ad affermare una visione della letteratura africana, anzi sarebbe meglio dire delle letterature africane, non più e non solo a immagine e somiglianza dei lettori e dei critici del resto del mondo, quanto piuttosto modellata sul tono di voce e le inclinazioni dei suoi stessi protagonisti.

Presentando due nuovi autori a settimana, il sito punta con forza su uno dei fattori “genetici” del modo di raccontare e tramandare storie in Africa, l’oralità. Tutti i lavori raccolti nel contenitore sono presentati sia in forma testuale, nella loro lingua originale e in inglese, sia sotto forma di audio, con i componimenti recitati dagli stessi autori. “La voce aggiunge una texture e differenti livelli di sfumature alle poesie – spiega la project manager di Badilisha Linda Kaoma – molte persone preferiscono ascoltarle piuttosto che leggerle. Noi dobbiamo cambiare il modo in cui ci presentiamo ai pubblici, e loro devono prendere coscienza dei diversi modi in cui possono ricevere poesia”.

Allo stesso tempo però, il sito si caratterizza anche come un abile tentativo di sfuggire a quella che è sempre stata la “trappola” dell’oralità. Tramandare storie a voce vuol dire esporsi a un maggiore rischio di perdita delle stesse, ed è anche per ovviare a ciò che si è dato corpo e vita all’iniziativa. “In Europa – argomenta Kaoma – è estremamente facile trovare archivi per qualsiasi tipo di contenuto. In Africa invece gran parte della storia e della cultura sono state tramandate attraverso la tradizione orale; da ciò la mancanza di tante fonti e documenti. Col nostro progetto volevamo evitare che ciò si ripetesse ancora una volta”.

Portandolo avanti, i curatori stanno sicuramente cavalcando l’ondata di interesse per gli scrittori africani che ha interessato il mondo negli ultimi anni. Allo stesso tempo però, ne stanno anche prendendo le distanze. Come già accennato, con Badilisha si punta più di ogni altra cosa ad affermare un punto di vista finalmente auto-riferito, e non più americano o eurocentrico, sulle letterature del continente africano. Emblematico a riguardo il pensiero della scrittrice Adaobi Tricia Nwaubani sul New York Times: “Negli ultimi dieci anni, alla letteratura africana sono capitate tante cose meravigliose. Diversi scrittori africani hanno vinto o sono stati selezionati per alcuni tra i più prestigiosi premi letterari. La nostra visibilità è cresciuta notevolmente. Finalmente voci africane contemporanee raccontano storie africane. Però continuiamo a raccontare solo quelle che gli stranieri ci permettono di raccontare. Gli editori di New York e Londra decidono a chi assegnare i contratti e di conseguenza quali delle nostre storie vale la pena di raccontare. E anche per quanto riguarda i premi e i riconoscimenti, sono i giudici americani e britannici ad assegnarli”.

Badilisha è nato proprio per rovesciare questa logica e tenendo fede a questo proposito si sta lentamente affermando, non più e non solo come fenomeno di nicchia. La volontà è di raccontare finalmente l’Africa, anzi le tante Afriche, “senza filtro”, anche perché gli stessi scrittori e poeti dei Paesi africani possano prendere ispirazione da altri colleghi dello stesso continente, piuttosto che sempre, comunque ed esclusivamente dagli autori anglosassoni. “Kaoma e il Badilisha project – sintetizza Tale Part – non sono tanto interessati ad attrarre audience dall’estero, quanto piuttosto a fare in modo che i cittadini africani possano avere più mezzi per scoprire le voci che appartengono alle proprie storie e culture”.

Chiamarlo vetrina o archivio digitale sarebbe assolutamente riduttivo. A meno che al termine archivio non si voglia attribuire il significato più nobile. Quello di contenitore vivo e pulsante di fonti, voci e contenuti  che affermano, rafforzano e tramandano una storia, una cultura e una identità.

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