“Printed web”, agli antipodi del paperless

Su Rivista Studio, Pietro Minto presenta alcuni progetti artistici che puntano a riprodurre su carta le qualità, le stranezze e le complessità di cui si alimentano i media digitali. Il risultato è una sorta di prospettiva rovesciata sulle peculiarità di un mondo in via di digitalizzazione

L’articolo si apre con un cenno al progetto di Kenneth Goldsmith, partito con l’ambiziosissimo obiettivo di arrivare a stampare tutto il web (operazione che richiederebbe come minimo 4.6 miliardi di fogli A4), e poi risoltosi a rivedere le sue mire. Entro il 26 luglio, giorno in cui con un evento dedicato alla memoria di Aaron Schwartz si chiuderà questa sorta di performance, il nuovo traguardo sarà quello di stampare “quanto più Internet possibile”.

L’attenzione si sposta quindi sull’artista Paul Soulellis, che ha di recente aperto la Library of the Printed Web, con la quale pubblica su carta alcune sue opere digitali, e su un saggio a sua firma che elenca le tecniche più o meno comuni con le quali si prova a tradurre Internet su carta. Dal grabbing allo scrabbing, che consistono nella stampa dei risultati di ricerche più o meno mirate, per esempio di immagini rubate sui profili pubblici o tweet dedicati ad uno specifico argomento; all’hunting, col quale la ricerca di concentra su particolari estremamente singolari, quali gli errori di visualizzazione su Google Earth; al performing, tecnica utilizzata da un artista per riscrivere su Gmail il romanzo “American Psycho” dell’autore americano Bret Easton Ellis, per stampare però in conclusione i soli messaggi pubblicitari contestuali comparsi nella propria mailbox alla “pubblicazione” dei singoli “capitoli”.

Recentemente Minto ha anche incontrato e intervistato Soulellis a Venezia, e il resto dell’articolo consiste nella trascrizione dell’intervista. Leggendola è possibile cogliere altre indicazioni sui progetti e le iniziative di “printed web” in corso d’opera nel mondo, oltre che, in alcuni passaggi, una spiegazione incidentale del perché, anche per chi si occupa di digitalizzazione e paperless, provare a guardare il mondo con le lenti rovesciate possa aiutare a soffermarsi su dettagli, aspetti e criticità che altrimenti rischierebbero di rimanere invisibili. Di seguito, almeno agli occhi di chi scrive, uno di questi passaggi:

“Si perdono molte cose ma si guadagna un’affascinante senso di straniamento, a mettere su carta quello che non è fatto per stare su carta. Sono supporti e formati diversi e il risultato è simile a quello che si ottiene convertendo o comprimendo un film audio o video. Sempre per mantenerci borderline rispetto i diversi medium, ricordiamo l’esperimento di Tom Scott, noto esperto di tecnologia statunitense, che ha convertito un testo nel formato per immagini .jpeg. Il testo in questione eraRomeo e Giulietta di William Shakespeare, che è stato prima salvato in formato RAW e poi trasformato in immagine con Photoshop. Il risultato è notevole e mette a nudo le “perdite” tipiche di questo tipo di conversioni.

O Romeo, Romeo! wherefore art thou Romeo?
Deny thy father and refuse thy name;
Or, if thou wilt not, be but sworn my love,
And I’ll no longer be a Capulet.

Questo per esempio è un estratto dalla scena del balcone in cui Giulietta sospira «Romeo, Romeo, perché sei tu Romeo?» Molto toccante. Ecco come diventa in formato Jpeg:

O Romep+ Rpldo wiepffnre arr!riov Romep@
Dgoy thz gatggr `me tefusf sgx n`me!

Il lato affascinante di esperimenti come quello di Scott o del gruppo della “Library of the Printed Web” sta nell’inspiegabilità, l’innaturalità che le creazioni umane – specie se eteree e fragili come una poesia – assumono una volta filtrate da una macchina. È l’uncanny valley, il momento in cui un qualcosa che è sempre sembrato umano all’improvviso si rivela essere una macchina, e ci sconvolge; è quel sentimento di disgusto e disorientamento che si può avere di fronte a robot particolarmente simili agli esseri umani, per esempio – quella sensazione di aver scambiato un ammasso di materia senza vita per un proprio simile, per una vita. Come mi ha spiegato Paul Soulellis, «guardiamo queste cose e ci appaiono umane, sempre più umane e ci piacciono molto; ma all’improvviso crolla tutto e ci sentiamo male. Ed è una cosa che penso succeda anche nelle lingue».”

Leggi l’articolo integrale su Rivista Studio

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ultima modifica 2013-06-21T12:59:00+02:00
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